Il Cloud Computing: la macchina a vapore degli anni ‘20

Il Cloud Computing va pensato come ad un insieme di soluzioni completamente diverse da quelle on-premise e da valutarsi con paradigmi nuovi.

Come cambiare il paradigma di utilizzo degli strumenti di collaborazione di Microsoft

non so se capita solo a me di trovare a volte libri capaci di spiegare per tanto tempo un numero elevatissimo di fenomeni molto importanti. Si tratta di poche opere fondamentali che illuminano il percorso con una brillantezza imprevedibile e che rimangono nella memoria da sempre e per sempre, senza necessità di memorizzazione, pagina dopo pagina.

E’ il caso di “The Second Machine Age: Work, Progress and Prosperity in a Time of Brilliant Technologies” che i ricercatori Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee pubblicarono già nel 2014 e che rimane a mio avviso una pietra miliare da consigliare a tutti.

Il libro contiene diverse tesi tra le quali quella per cui la tecnologia digitale è ancora lontana dal rivelare tutto il suo potenziale agli esseri umani. Anche se siamo tutti convinti che sia effettivamente così a volte non è facile accorgersi delle conseguenze.

Una prima riflessione è che se il vero potenziale delle tecnologie digitali come il Cloud Computing deve ancora rivelarsi appieno allora tutte le aziende dovrebbero oggi essere nel mezzo di investimenti e di trasformazioni che riguardano il Cloud. Molte lo sono ma lo stesso non si può dire per la maggior parte delle aziende che incontriamo. Per la precisione, una recente survey di Innovation Group ci dice che la percentuale di aziende che prevede di migrare sempre più carichi di lavoro in Cloud nel 2021 è passata dal 27% dell’anno precedente al 42% ma è rimasta comunque al di sotto della metà.

Una seconda riflessione porta invece a dire che se il potenziale delle tecnologie digitali a volte stenta a mostrarsi in tutta la sua forza dirompente è anche perché spesso guardiamo agli investimenti in tecnologie digitali da un punto di vista non corretto. Un esempio di cui troviamo casi molto frequentemente è la comparazione dei costi di una infrastruttura on-premise con quelli di una infrastruttura Cloud. Se la compilazione del business case destinato ad effettuare la valutazione viene redatta a partire dalla lista delle voci di costo dell’on-premise, è probabile che la valutazione stessa non deponga a favore della soluzione Cloud.

Se il metodo è sbagliato, i vantaggi del Cloud Computing non vengono evidenziati e quindi non verranno monetizzati. Con questo metodo di valutazione è probabile che molti costi indotti delle soluzioni on-premise rimangano spesso fuori dalle valutazioni. Ad esempio, una infrastruttura on-premise che supporti un insieme di applicazioni dovrà essere dotata di numerosi ambienti di test il cui costo di attivazione, manutenzione e porting risulterà complessivamente molto più alto rispetto a quello che si otterrebbe impiantando la stessa infrastruttura nativamente in Cloud. Voci di costo ad alto impatto quali il “code coverage”, il “DR”, la nativa predisposizione alla “BC” o alla “gestione di accessi delocalizzati”, non vengono quasi mai presi in considerazioni quali variabili economiche.

Un esempio eclatante è rappresentato dagli studi di settore, ad esempio operati da Forrester o McKynsey per il calcolo del “ROI” (return of investiment) in merito all’adozione di risorse Cloud Based. La maggior parte dei clienti Italiani reputa tali studi poco significativi, poiché molti delle voci di costo conteggiate, spesso non sono presenti negli scenari IT dei clienti.

Questo è il centro della competenza del gruppo di lavoro che in SoftJam chiamiamo Cloud Awareness: pensare al Cloud non come ad un sistema in cui “convertire” quanto in essere nei pregressi ambienti on-premise, ma piuttosto come un insieme di soluzioni abilitanti alla definizione di una soluzione concepita, costruita e valuta con paradigmi nuovi, in grado di fornire risposte migliorative che le persone dell’attuale Information Technology a volte non sono abituate a valutare.

Cambiare il modello di valutazione e usare la “Cloud Awareness” porta a sconvolgere il ragionamento in tutte le aree di investimento dell’Information Technology e di fatto porta a parlare prima di tematiche che riguardano il business e poi le soluzioni tecnologiche. Questo cambiamento è strettamente necessario perché le tecniche di valutazione che citavo sopra, che usano la struttura dei costi di qualche decina di anni fa, sono state scritte vivendo in un mondo non nativamente digitale.

Comprendere l’inadeguatezza di valutare le soluzioni Cloud con gli occhi dell’on-premise conduce necessariamente ad altre tecniche di valutazione e ad altre domande su un piano temporale completamente diverso.

Nei prossimi cinque anni, come cambierà il bacino di utenza della mia azienda? Mi rivolgerò anche ai mercati emergenti? In che modo? Con negozi fisici o con store online? Come potrò rendere veloce il mio sito anche dall’altra parte dell’oceano? Dovrò essere compliance a quale tipo di normativa? Come muterà lo scenario di consumo delle soluzioni?

Molte di queste domande sono ridondanti usando le architetture Cloud e creano invece vincoli, rigidità e necessità di investimento che possono risultare anche molto significative ragionando con gli schemi tradizionali.

Lo scopo del gruppo di lavoro Cloud Awareness è iniziare ogni valutazione di investimento con il cliente partendo da un’analisi delle scelte da fare con una connotazione olistica e non sulla base di scelte architetturali già stabilite.

Il ragionamento si può applicare a tutte le altre aree di attività di SoftJam ed è di semplice applicazione.

Ad esempio, ogni velleità di modernizzazione basata su soluzioni Modern Work è del tutto inutile se non si inizia con il cambiamento delle modalità di lavoro o se non si pianifica che questo sia un risultato possibile grazie all’applicazione di strumenti di analisi alle soluzioni di collaborazione. Prendendo in prestito un postulato della fisica moderna, analizzando un fenomeno lo si influenza. Riportandolo nel mondo IT, possiamo dire che solo misurando la performance di un sistema se ne altera la performance stessa, o si maturano quelle consapevolezze utili ad influenzarlo positivamente.

UNA RECENTE SURVEY DI INNOVATION GROUP MOSTRA COME LA PERCENTUALE DI AZIENDE CHE PREVEDE DI MIGRARE SEMPRE PIÙ CARICHI DI LAVORO IN CLOUD NEL 2021 SIA PASSATA DAL 27% DELL’ANNO PRECEDENTE AL 42%

Allo stesso modo la valorizzazione del dato come patrimonio aziendale che SoftJam persegue con il gruppo di lavoro Data & AI è complessa o addirittura impossibile se non si procede dapprima ad una “monetizzazione” del dato stesso, ad esempio come base decisionale per la definizione degli investimenti in Security. La Sicurezza è una condizione che rende agili perché quando le aziende sono sicure o hanno fatto investimenti per aumentare il loro grado di sicurezza allora possono svolgere attività che prima non potevano nemmeno immaginare.

Ecco dunque che riusciremo ad avere il “coraggio di cambiare” a cui ci richiama Tiziano Vecchi nell’editoriale di questo numero di SoftLife se riusciremo anzitutto a comprendere la necessaria rivoluzione dei paradigmi, un po’ come successe in passato quando l’adozione della macchina a vapore di James Watt tra il 1765 e il 1776 convinse l’umanità a cambiare il paradigma dei muscoli umani e della forza dei cavalli per adottare quella delle macchine. Gradualmente ma inesorabilmente l’adozione prese piede e quando raggiunse una diffusione sufficiente la rivoluzione industriale divampò, dando origine alla più grande espansione della popolazione mondiale nella storia dell’umanità, come illustrato nel grafico rielaborato dal libro di Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee. Se sia l’alba di un nuovo ciclo di espansione delle risorse del pianeta lo sapremo solo se riusciremo a cominciare a cambiare paradigmi e ad essere maggiormente “Cloud aware”.


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