Il Disaster Recovery: un processo continuo

Il Disaster Recovery può e deve essere considerato un processo di business ed essere assistito dall’utilizzo di strumenti dinamici come quelli denominati "Infrastructure as a code" così come dalle dinamiche di cost management ed altre ancora. In questo articolo analizziamo le ragioni di questa considerazion

Nel corso dei LAB è stato messo in mostra come il percorso digitale oggi sia in realtà un insieme di processi dinamici che devono essere eseguiti in sicurezza e senza spreco di risorse.

È il caso delle discussioni condotte sui temi del Disaster Recovery delle risorse informatiche. Ciò che è stato messo in luce è anzitutto la necessità per la maggior parte delle aziende di adeguare il proprio piano di Disaster Recovery, che è stato quasi sempre studiato e approntato dalle organizzazioni ma che deve essere visto più come un processo continuo che come un’attività una tantum. Ci abituiamo quindi a chiamare il tema “Processo di Disaster Recovery” e non “Piano” per dare l’idea di una serie di attività che durano nel tempo e che sfruttano risorse a geometria variabile.

Il processo di Disaster Recovery, così come le performance in fase di esecuzione del piano di recupero dai disastri, può essere assistito dall’utilizzo di processi denominati “Infrastructure as a Code”. Questo insieme di tecnologie consente di fare in modo che le risorse infrastrutturali in Cloud reagiscano ai comandi delle procedure automatiche e si configurino in caso di disastro secondo le richieste dell’owner del processo di Disaster Recovery.

ll vantaggio di un approccio Infrastructure-as-a-code rispetto ad un’equivalente serie di processi eseguiti manualmente dall’operatore si trova soprattutto nella riduzione delle possibilità di errore durante il deployment, nell’uniformità degli ambienti che vengono creati nonché nella possibilità di gestire e tracciare la storia delle attività e quindi che cosa si è distribuito all’interno della sottoscrizione o del proprio data center, tracciando le evoluzioni dell’architettura, capendo dove c’è stato un determinato fallimento in un determinato momento e creando quindi un primo passo verso la governance.

L’attivazione di questi servizi genera ovviamente i costi relativi ai consumi di risorse Azure. Le richieste delle aziende in termini di Cost Management del Cloud sono complesse e molteplici. Anzitutto è necessario disporre di uno strumento che consenta il semplice follow-up dei costi rispetto al budget, per dare al responsabile dei servizi informatici una visione aggiornata su eventuali sforamenti e deviazioni rispetto ai consumi previsti. In aggiunta, è bene tenere sotto controllo il budget anche in termini previsionali e con tecniche di tipo “what-if”, per poter fruire di simulazioni di fronte a richieste delle line of business. Da ultimo, molto spesso è necessario provvedere ad un ribaltamento dei costi in funzione dei reparti che utilizzano concretamente la piattaforma Cloud, secondo il piano dei conti o il piano di controllo di gestione utilizzato. Ciò che si nota è che, indipendentemente dal grado di semplicità con cui l’adozione del Cloud viene iniziata, presto o tardi le aziende tendono ad avere bisogno di strumenti di controllo dei costi più sofisticati di quelli messi a disposizione da parte dei Cloud Provider.

Su questi temi è stato sviluppato un approccio sperimentale di ricerca che consente di interfacciare strumenti di business intelligence ad Azure e di mettere in atto sistemi di controllo e di simulazione che ci si aspetta siano molto efficaci, anche per colmare lacune dei modelli di controllo nativi.

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